Elmetto e dischetto. Una paura del Diavolo

Roberto Beccantini8 gennaio 2023

Proprio a Marassi, dove Luca cominciò, Sinisa continuò e Diego finì. Sampdoria-Napoli. Sotto la pioggia, battente non meno del ritmo, pulsante non meno dei cuori. Spalletti veniva dal primo k.o., Stankovic da un successo (a Reggio, con il Sassuolo) paragonabile a un piccolo ombrello. Alla capolista si chiedeva: rispondi. Ha risposto. Con l’elmetto, più che con il fioretto: lo imponevano le circostanze, le suggestioni, le trappole.

Non c’era il rigore-lampo di Murru su Anguissa, battuto da Politano e deviato da Audero sul palo. Abisso non lo aveva fischiato, gliel’ha suggerito Valeri, al Var. Nessun dubbio, viceversa, sul rosso a Rincon, al 38’, per la tranvata a Osimhen. Che, già al 19’, aveva spaccato l’equilibrio. Una rima baciata, una delle poche, il filtrante di Mario Rui.

In undici contro undici, la Samp ha dimostrato di avere un’anima. Altra caratura, il Napoli. Ogni zolla era filo spinato; ogni palla persa in uscita, un’imboscata. Ne perdeva anche il Napoli – in avvio, soprattutto – ma Gabbiadini e Lammers sono una cosa, il «fu» Quagliarella un’altra. Il ritmo, frenetico, spingeva i duellanti a darsele di santa ragione, Politano spaziava, Elmas mezzala al posto di Zielinski era la trovata del «Lusciano», una mossa che non rigava il panorama. Dominatore assoluto, Osimhen: che duello, con Nuytinck.
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Il ricordo e poi la fine. Inter-pasticcio

Roberto Beccantini7 gennaio 2023

Non capita sovente di celebrare due capitani nella stessa funzione. Ernesto Castano, Gianluca Vialli. Gli applausi, i cori, le luci soffuse, il discorso di Pessotto: è il destino che detta i tempi, ineluttabile, inesorabile. Poi si torna sulla terra, ognuno come può (o vuole, o sa) e si gioca. Juventus-Udinese 1-0. Otto vittorie consecutive, tutte senza reti al passivo.

Sempre, o quasi, con la solita ricetta: posate e tovaglie non proprio raffinate, menu un po’ così (Locatelli scotto, non al dente) e il dolce alla fine, come in ogni ristorante che si rispetti, non importa se da venti o cento euro. A Cremona, mercoledì, era il 91’ quando ha risolto Milik. Allo Stadium, l’86’ quando ha deciso Danilo. Dicono che sia il sesto gol dopo l’85’. Segno che, pian piano, Madama cresce e gli dei, benigni, ne gratificano la scossa, le mosse. Al punto che uno si chiede se, e sottolineo se, sarà mai possibile vedere all’inizio la Juventus della fine. Lo domando sommessamente a chi di piacere, alla musa del corto muso.

La squadra di Allegri è così «femmina» che avrà spinto al brindisi persino Gioannbrerafucarlo, lassù, non appena abbracciato Stradivialli. Si ritrae – a volte vezzosa, a volte pigra – e si ciba di contropiede. L’Udinese di Sottil, non più martellante come in estate, pochissimo ha creato, a onor del vero, ma anche poco rischiato. Un’incornata di Rugani, una rasoiata di Kean (murate, entrambe, da Silvestri) e nella ripresa, con gli avversari un tantino più audaci, qualche mischia, qualche petardo vagante ma niente di che.

Di Maria? O esce per entrare o entra per uscire.
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Vialli, un guerriero borghese

Roberto Beccantini6 gennaio 2023

Ogni giorno cade una foglia, in questa antologia di «Spoon River» che lo sport scrive, riscrive e corregge a ritmi quasi isterici. Sinisa Mihajlovic il burbero; Vittorio Adorni il signore; o Rei Pelé il massimo; Ernesto Castano il duro. Li ha raggiunti Gianluca Vialli, come era nell’aria da tempo. Aveva 58 anni, l’ha consumato un tumore al pancreas. Si è spento a Londra, città che aveva eletto a castello della maturità. Lascia la moglie, due figlie e gli agi di una famiglia che non gli hanno impedito di diventare «grande».

In un calcio di fighetti, è stato un «guerriero borghese». Trascinava i compagni, sfiancava gli avversari. La Cremonese di «papà» Domenico Luzzara, il giardino incantato della Sampdoria e dei «sette nani», sotto la regia di Paolo Mantovani, Paolo Borea, Vujadin Boskov e Narciso Pezzotti, con Roberto Mancini a fargli da gemello, coppia di «fatti» che la storia avrebbe agghindato come un albero di Natale. Poi la Juventus di Giampiero Boniperti, altro presidente di una volta, che lo aveva smarrito per una dritta errata (e recuperato a suon di miliardi). Quindi l’irruzione della Triade, la saudade genovese che diventa adrenalina. Non legò col Trap, fu Marcello Lippi a ricaricarlo.

La finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley con la Samp, anche per colpa sua (come avrebbe confessato) ma soprattutto per la bomba di Ronald Koeman, segnò un confine drastico, profondo. Finiva la scapigliatura. Cominciava il servizio «militare». Juventus, Chelsea, tra i primi a esplorare la Premier, giocatore allenatore, scudetti (quello, mitico, del Doria), Champions (da capitano juventino, nel ‘96), coppe su coppe fino al Watford e al licenziamento inflittogli da Elton John.

I suoi muscoli, e quelli di Alessandro Del Piero, incuriosirono Zdenek Zeman e Raffaele Guariniello
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